Tra le parole più significative che potrebbero connotare questi primi mesi del 2017, una emerge con forza: “Confini”. Ad essa è possibile correlare ulteriori atteggiamenti e posizioni sempre più visibili, sulla scena mondiale. Ad ogni azione, però, corrisponde una reazione. E se i sentimenti di chiusura e la costruzione di confini campeggiano nelle alte schiere governative, la popolazione civile esprime il proprio dissenso, urlando sonoramente: “NO BORDERS!”
Nei mesi scorsi, migliaia di persone sono scese a manifestare per le strade delle maggiori città statunitensi contro i primi atti governativi del presidente Trump. Nei cortei la solidarietà si è unita ad un senso più profondo di umanità, e a New York, la Statua della Libertà, il simbolo planetario dell’accoglienza, versa lacrime per la fine del mito dell’ “America Democratica”, madre accogliente di chi è in cerca di un sogno.
Il 25 gennaio 2017 Donald Trump firma un ordine esecutivo per iniziare la progettazione di un muro al confine col Messico, tenendo fede ad una delle promesse fatte durante la campagna elettorale, col fine di interrompere l’immigrazione clandestina. Solamente due giorni dopo, il 27 gennaio, vengono rese note ulteriori misure cautelative, definite dal presidente stesso “straordinarie e necessarie per la sicurezza nazionale”, che passano sotto il nome di “Muslim Ban”. Tali provvedimenti sanciscono il divieto di ingresso negli Usa per le persone provenienti da 7 Paesi a maggioranza musulmana: Iran, Iraq, Sudan, Siria, Libia, Somalia e Yemen.
Agli striscioni di protesta nei confronti di tali decreti, con su scritto “NO BAN! NO WALL!”, si aggiunge la ferma opposizione del mondo della cultura e dell’arte che si sente chiamato a rispondere con i propri mezzi e a lanciare un messaggio forte e chiaro. Già il 20 gennaio, l’area culturale newyorkese aveva dato vita ad uno sciopero, a cui avevano partecipato numerose gallerie d’arte, teatri, musei e associazioni no-profit, rimanendo chiusi al pubblico. Il “J20 Art Strike” si è presentato come una vera e propria manifestazione contro il trumpismo, mirante a focalizzare l’attenzione sul ruolo delle istituzioni culturali. Spazi fautori di forme di resistenza, luoghi produttori di pensiero, visioni e sentimenti liberi, mai in balia di costrizioni governative o di repressioni politiche. Purtroppo, il raduno ai piedi della Trump Tower non ha suscitato molta eco a livello internazionale e gli animi si sono placati nel giro di 24 ore.
Ben più incisiva l’azione promossa dal MOMA (Museum of Modern Art) di New York, a distanza di una settimana circa dal decreto presidenziale. Al quinto piano, nella sala espositiva dei capolavori dell’arte del Novecento, il museo ha deciso di esporre 7 opere di altrettanti artisti provenienti dalle Nazioni colpite dal Muslim ban, ribadendo la propria posizione e affermando gli ideali di accoglienza e di libertà che stanno alla base sia del museo sia degli Stati Uniti d’America.
L’arte non ha barriere, non costruisce frontiere e non erige muri. Il dialogo interculturale è il motore imprescindibile dell’espressione artistica e senza tale presupposto non sarebbe pensabile alcun futuro o progresso per l’umanità intera. La frase che potrebbe condensare il messaggio che si vuole veicolare è “Mi apro alla chiusura”. Quando la politica crea divisioni, barriere e conflitti, ecco che interviene la cultura, il cui dovere è proprio quello di smantellare e radere al suolo le ostilità, i silenzi, unire le diversità, lottare per un bene unico ed universale.
Sulla scia del museo newyorkese, anche l’Italia risponde. Tra gli eventi culturali più attesi, il Salone internazionale del Libro di Torino, in programma dal 18 al 22 maggio 2017, quest’anno giunge alla sua trentesima edizione. Il dibattito attorno a tale edizione è stato acceso sin dallo scorso anno, quando Milano ha proposto una nuova fiera legata al mondo editoriale, provocando una divisione tra gli editori che hanno appoggiato la nascente iniziativa milanese e coloro che sono rimasti fedeli al Salone torinese. Tra le tante novità, il nuovo direttore della fiera internazionale piemontese, Nicola Lagioia, noto scrittore. Egli, in linea con i nuovi assetti editoriali ma anche socio-culturali, ha reso noto qualche mese fa il tema dell’edizione 2017, filo conduttore delle varie inziative proposte: Oltre il confine.
Ritorna dunque, la parola “confine” con un chiaro intento di oltrepassarlo, di andare oltre, di buttare giù le barriere. Il Salone “sconfina” e promuove la bibliodiversità, dialogo tra diversità che si compenetrano, pluralismo che è arricchimento e risorsa. “Scavare trincee non è mai saggio, non è maturo, non è un segnale di forza. Se un dialogo non lo portano i libri, chi potrà farlo? Si sarà capito che preferiamo i ponti ai muri.” Così termina Lagioia in un suo intervento su minima&moralia.
Siamo partiti dal macro, la scena mondiale, per restringere sempre di più lo sguardo, a livello nazionale. Adesso occorre prendere in considerazione una realtà ancora più prossima a noi.
Anche Palermo s’inserisce nel dibattito sulla creazione di confini e la necessità di oltrepassarli, e lo fa attraverso una mostra dal titolo “No Borders!” Arti e vicende di sette popoli, proprio quei popoli colpiti dal Muslim ban. L’iniziativa è promossa dal Polo Museale di Arte Contemporanea di Palermo Museo Belmonte Riso e dalla Fondazione Orestiadi di Gibellina, curata da Francesca Corrao e Enzo Fiammetta. La mostra, visitabile dal 10 al 30 aprile, presso la Cappella dell’Incoronazione a Palermo, presenterà manufatti delle sette nazioni, provenienti dalle collezioni del Museo delle Trame del Mediterraneo di Gibellina, testimoniando così il ruolo primario dell’arte nella lotta contro la discriminazione e la costruzione di inutili muri. E ricordando, inoltre, che la Sicilia è da sempre stata luogo privilegiato di incontro, convivenza e dialogo della diversità, esempio lampante di un melting pot che ha arricchito la nostra identità.
Così, la curatrice della mostra palermitana, Francesca Corrao: “La mostra NO BORDERS, ci serve a ricordare che presto celebreremo l’anniversario della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo… sempre più spesso si legge dell’inasprirsi dei conflitti, dell’emergere di nuove forme di razzismo e dell’innalzamento di muri che impediscono la libera circolazione delle persone… Tuttavia i diritti al rispetto della dignità della vita e alla libertà di movimento rimangono capisaldi del nostro orizzonte culturale: non si impedisce alle rondini di volare, non si fermano i flussi delle correnti del mare e gli esseri umani non possono smettere di riconoscere l’umanità e i bisogni dei loro fratelli in difficoltà.”